André Simonart, Provinciale d’Europa: «Le vocazioni calano e la congregazione invecchia, ma noi stiamo investendo nell’animazione missionaria e nella formazione per avere religiosi preparati. Continueremo a combattere contro i pregiudizi su immigrati e islam»

Quale territorio copre la 
Provincia europea? E quanti Padri Bianchi sono presenti nel nostro continente?

La Provincia – risponde padre André Simonart – copre tutta l’Europa, anche se, in realtà, abbiamo comunità in dieci Paesi. I Padri Bianchi europei sono 592 (il 47% del totale) e sono maggiormente presenti in Francia (162), Belgio (128) e Germania (96). L’Italia ne conta 33 (di cui 10 in missione) e la Svizzera 23.

Padri e suore bianche

Qual è la principale opera in cui sono impegnati i Padri Bianchi?


È la cura e l’assistenza dei confratelli anziani e malati, ormai in maggioranza: l’età media è di 70 anni. Nella Provincia abbiamo 37 comunità, di queste 20 sono dedicate esclusivamente ai confratelli anziani e malati e sette sono comunità dove confratelli anziani, ma autonomi, vivono con altri. Alcuni confratelli, poi, abitano in strutture sanitarie esterne ove possono ricevere assistenza medica. La congregazione investe quindi molto nell’assistenza ai confratelli per permettere loro di vivere con serenità la loro vecchiaia.

I giovani Padri Bianchi invece
di che cosa si occupano?

Lavorano per favorire il dialogo con l’islam e con i migranti africani. In questo contesto operano l’Afrika Center a Berlino (Germania); una parrocchia a Marsiglia (Francia); un’altra a Roquetas de Mar (Spagna); il Centro Amani e l’Arcre (Azione per l’incontro con le culture e le religioni) entrambi a Bruxelles. Un padre italiano opera nella nuova comunità d’accoglienza di Modica, in Sicilia. Cerchiamo di aiutare gli immigrati insegnando lingue, informatica e sostenendoli nelle pratiche burocratiche. L’Arcre è anche un centro studi sull’islam in Europa e ci stiamo concentrando sull’apertura di una comunità simile a Tolosa (Francia). Queste comunità lavorano in coordinamento con la Chiesa locale e con altre congregazioni.

Quale futuro per una congregazione che invecchia?

Negli anni Sessanta eravamo 3.000, oggi siamo 1.200, probabilmente in futuro ci attesteremo sugli 800. Dovremo, quindi, con dispiacere, diminuire gli impegni missionari. Ma non vogliamo che la nostra congregazione muoia. Per questo, stiamo investendo nella formazione dei missionari e nell’animazione vocazionale. Attualmente abbiamo 500 giovani in formazione. Ciò significa che negli anni prossimi avremo tra le venti e le trenta ordinazioni all’anno. I giovani saranno tutti destinati alle missioni. Nessuno di loro sarà destinato a case dove si trovano anziani.

Quale concetto di missione porterete avanti?

Oggi, la missione non è più un fatto ecclesiale, ma è un incontro gratuito tra persone, una testimonianza di rispetto e di appoggio nel cammino verso la libertà umana, politica ed economica. Vivremo la nostra presenza in Africa e America Latina con simpatia e benevolenza verso chi incontreremo e verso altre esperienze spirituali, soprattutto i musulmani. In Europa dovremo soprattutto far fronte all’ignoranza e alle paure che alimentano i pregiudizi e le profezie dello scontro di civiltà.