Ritratto di un continente carico di energia
Venerdì 24 maggio alle ore 20.30 presso lo spazio -1 del TNT è stata inaugurata la mostra promossa dalla rivista Africa dei Missionari d’Africa – Padri Bianchi “Energy Africa – Ritratto di un continente carico di energia”, quaranta scatti di Marco Garofalo per raffigurare il tema dell’accesso all’energia.
Diverse le personalità intervenute: l’Assessore alla cultura Giuseppe Pezzoni, Padre Gaetano Cazzola, provinciale dei Missionari d’Africa, Padre Claudio Zuccala, animatore della Comunità di Treviglio e Marco Trovato, direttore editoriale della stessa rivista, che ha presentato la mostra stessa.

«Le dichiarazioni secondo cui l’Africa è stata esplorata sono avventate come le notizie della sua morte imminente. Un’indagine davvero illuminante sull’Africa deve ancora avere luogo».
Sono parole amare pronunciate da Wole Soyinka, scrittore e poeta nigeriano, primo intellettuale africano a ricevere il Premio Nobel per la Letteratura. Sono in tanti a pensarla allo stesso modo: l’immagine di questo continente è tuttora deformata dal pietismo, dall’esotismo, dal qualunquismo, dal pressappochismo… Lo sguardo miope con cui l’Occidente guarda all’Africa alimenta stereotipi e luoghi comuni. E non permette di vedere come e quanto il “mondo nero” stia cambiando.
Spesso fanno notizia solo le guerre civili, le scandalose povertà che attanagliano milioni di persone, le malattie d’altri tempi che falcidiano i bambini. Ma ignoriamo la straordinaria vitalità dell’Africa: l’età media dei suoi abitanti è di 19 anni (quella degli italiani è di 45).
La sua popolazione – stimata oggi in circa un miliardo e 200 milioni di persone – è destinata a raddoppiare nei prossimi trent’anni. Nel 2050 sarà africano un abitante della Terra su quattro. E nel 2100 un abitante su tre nel nostro pianeta avrà la pelle scura.
Parlare oggi dell’Africa significa parlare delle sfide dell’umanità: anzitutto, la promozione di uno sviluppo condiviso e sostenibile (dal punto di vista sociale e ambientale). Benché l’economia del continente mostri segnali positivi da almeno quindici anni, la crescita del Pil non è sufficiente né equamente distribuita e la forbice tra i più ricchi e i più poveri continua a crescere. In troppi casi, inoltre, il boom è dopato dall’esportazione di materie prime, idrocarburi o minerali strategici per l’industria mondiale. Esportare merci non lavorate significa anche esportare posti di lavoro.
L’Africa, con la sua popolazione giovane e assetata di futuro, ha un disperato bisogno di opportunità lavorative. Ogni anno a sud del Sahara vengono creati 3 milioni di nuovi posti di lavoro, ma i ragazzi e le ragazze in cerca di un impiego sono quattro volte di più. La disoccupazione e la mancanza di prospettive alimentano il fenomeno migratorio. Per contrastare l’emorragia di giovani occorre affrontare le molteplici sfide che segneranno il destino del continente: la stabilità e la pace, la lotta alle povertà e alle sperequazioni sociali, l’accesso all’acqua e alla sanità, il contrasto alla corruzione, colossali investimenti per comunicazioni, trasporti ed energia rinnovabile, lo sviluppo dell’agricoltura e dell’industria. La crescita del settore manifatturiero (ovvero la trasformazione dei prodotti grezzi in beni di consumo) consentirebbe di creare enormi opportunità occupazionali, diversificherebbe le voci dei bilanci (rendendo le economie nazionali più solide e meno dipendenti dalle fluttuazioni del mercato delle commodities) e infine stimolerebbe i consumi interni. Qualcosa già si muove.
In Nigeria (primo esportatore africano di petrolio) si costruiscono raffinerie; in Camerun, segherie industriali e mobilifici; in Costa d’Avorio (leader mondiale nella produzione di cacao), le prime fabbriche di cioccolato. L’incipiente classe media – istruita, benestante, ambiziosa – vuole recuperare il tempo perduto.
Nelle grandi città fioriscono centri commerciali, palestre, cinema. I giovani di Dakar, Johannesburg e Nairobi passano le giornate con in mano gli smartphone, esattamente come i loro coetanei di Roma, Milano e Bari. Il rischio vero è che la globalizzazione dei consumi finisca per annientare ogni differenza. Ma lo spirito indomito dell’Africa saprà sopravvivere anche a questa prova. Così come è rimasto vivo durante i periodi bui della sua storia: lo schiavismo, il colonialismo, le guerre per procura alimentate dalla bramosia di tiranni e potenze straniere (spesso collusi tra loro).
Troppe volte l’abbiamo data per spacciata: analisti e osservatori hanno sentenziato la fine incombente di un continente “maledetto, senza speranza, sull’orlo del baratro, destinato a soccombere”. E invece, anche nei momenti più difficili, nelle prove più dure e improbe, la culla primigenia dell’umanità ha saputo stupirci. Perché al di là di ogni previsione, sfidando l’omologazione che sembra avvolgere il pianeta, l’Africa continua a percorrere una strada autonoma, originale e imprevedibile. Quasi a volerci dimostrare che un altro mondo non solo è possibile, esiste già.
Conosci le mostre fotografiche della rivista Africa!