Le chiamano “Suore Bianche” perché fondate dal card. Lavigerie, come i Padri Bianchi: sono le Suore missionarie di Nostra Signora d’Africa. Una di esse lavora a Nouadhibou (Mauritania) con i ragazzi di strada restituendo loro voglia di vivere.

Nouadhibou è la capitale economica della Mauritania. Molti giovani vivono in strada. Un mondo che alcuni hanno scelto, ma che altri hanno subito. Sono partiti dalle loro case in cerca di cibo o di soldi facili. Nessuno li ha trattenuti. Nessuno ha detto loro: «Torna». I genitori se ne vanno all’alba: il padre a pesca- re (quando rientrerà?), la madre al mercato, nella speranza di vendere qualche ortaggio o a mendicare o, se non trova nulla, a prostituirsi. Così i ragazzi lasciano il villaggio per andare in città. La loro casa diventa una carcassa d’auto o una piroga nel porto. È lì che li incontriamo, nelle nostre “ronde” notturne.

Nel mio lavoro presso l’Associazione dei bambini di strada ho affiancato e aiutato gli educatori. Questa esperienza ci ha insegnato che la scolarizzazione non serve senza un lavoro preliminare di ascolto. È in- dispensabile aiutarli prima a ritrova- re la fiducia in se stessi. Solo dopo possono tornare a scuola. Il cammino è lungo prima che ritrovino il gusto della vita sociale. Un cammino pie- no di difficoltà, ma di soddisfazioni. Penso al concerto di musica pop che
abbiamo organizzato grazie alla collaborazione di un cantante canadese. Che emozione vedere 18 ragazzi e 12 ragazze su un palco a suonare e ballare in abiti tradizionali. A sentirli è accorsa tutta la città, con il sindaco in testa. Alcuni ragazzi hanno reincontrato i genitori.

Gli educatori li hanno visti anche volteggiare senza complessi con gli acrobati di una scuola francese. E poi hanno dato loro fiducia prestando loro macchine fotografiche per realizzare un breve documentario. Alcuni l’hanno venduta o rotta, ma altri hanno scattato belle immagini. Uno di loro, scelto per essere il foto- grafo della troupe, ha fatto miracoli! Penso che ciò che conti veramente sia credere nella loro capacità di fare qualcosa di buono. Ma dobbiamo lasciarli venire a noi, accettando la loro violenza, le loro lacrime, le loro preoccupazioni. Dobbiamo mantenere le distanze, ma anche imparare a perdere tempo per stare loro vicini. E imparare a chiedere perdono, quando hai fatto o detto qualcosa che li ha feriti.

a cura di Laurence Huard e A. Goffinet