La Repubblica Democratica del Congo è un gigante ferito nel cuore del continente. Da decenni le enormi risorse delle regioni orientali vengono saccheggiate impunemente da potenze straniere e da milizie armate. La popolazione locale è allo stremo, ma in molti casi è sorretta da una fede inspiegabile. Un Padre Bianco italiano racconta la sua esperienza
La Repubblica Democratica del Congo, sette volte l’Italia, è abitata da 70 milioni di persone di 400 etnie. Ha risorse naturali immense: legno pregiato, petrolio, filoni auriferi, uranio e montagne di rame, immensi giacimenti di coltan, diamanti, gas naturale… È dai tempi di Leopoldo II che le potenze occidentali depredano il Paese. Tra il 1865 e il 1909 il re dei belgi sfruttò gomma e avorio ricorrendo a una violenza inaudita: lo si ritiene responsabile di una decina di milioni di morti. Un secolo dopo, la storia pare ripetersi: dopo l’arrivo dei rifugiati rwandesi, nel 1994, attorno al traffico illegale di minerali è cominciato il secondo genocidio. Il numero di vittime è stimato, fino a oggi, in oltre sette milioni. Più di due milioni le donne violentate! E i mutilati? Un disastro senza fine!
Come missionario ho servito il Congo per 23 anni. La mia esperienza con gli sfollati (2012-16) mi ha interpellato come uomo e sacerdote. Il 20 novembre 2012 Goma era occupata da un movimento ribelle sostenuto da alcune nazioni confinanti. La guerra dilagava in tutto l’est del Congo. In quel contesto, il vescovo di Goma mi chiese di portare conforto agli sfollati accampati intorno alla città. Vidi coi miei occhi le vittime innocenti del Congo e non mi tirai indietro. Distribuii migliaia di sacchi di farina, centinaia di coperte, litri e litri d’olio, alimenti, quaderni, sandali per i bambini, abiti… Soprattutto offrii la mia presenza di servo dell’umanità ferita! Presi il tifo, ma continuai a recarmi presso gli sfollati, su strade dissestate, sotto diluvi di pioggia, tra banditi e soldati fuori controllo!
Nel 2021 la situazione è ancora di buio. Il regime è di parvenza democratica, ma tiene la popolazione in stato di schiavitù, ridotta alla fame, in un clima di insicurezza terrificante malgrado 20.000 soldati dell’Onu.
La gente va avanti con coraggio, sopporta umiliazioni assurde, sopravvive nella precarietà. Forse nemmeno Dio sa più che fare per reinventare una storia di pace e di giustizia per il Congo. Non dimentico le liturgie natalizie e pasquali nei campi profughi, pregne di speranza malgrado la violenza quotidiana: come spiegare la fede degli sfollati, derubati e maltrattati, che continuano a lodare e sperare nel Dio della vita? La violenza dei potenti avrà termine; la speranza dei poveri resta e gli onesti vinceranno. «Il vincitore è solo un sognatore che non si è arreso», amava dire Mandela. Dio ha un sogno sul Congo, e io aderisco al suo sogno.
Padre Giuseppe Locati