a cura di Padre Maurice Borrmans, in pensione attiva a Sainte Foy lès Lyon, Francia

Quando il vescovo Charles Lavigerie nel 1868 ha voluto che dei testimoni del Vangelo si mettessero al servizio dei musulmani d’Algeria e d’altrove, testimoniando loro l’amore di Gesù, ha chiesto ai suoi primi padri di assicurare loro la salute (con i dispensari), il sapere (con le scuole) e la condivisone delle verità religiose di uno stesso monoteismo di base. Come vescovo, nutriva sicuramente dei desideri nel suo cuore, ma sapeva pure essere paziente nella realizzazione del suo progetto evangelico, infatti aveva una profonda conoscenza della Storia della Salvezza. Ha fatto ciò che credeva possibile fare nel suo tempo, condividendo idee e giudizi dei suoi contemporanei, come pure i loro pregiudizi ed errori.

Una cosa gli stava a cuore : che i musulmani potessero scoprire di essere amati « a fatti e in verità » (1Gv. 3, 18) dai cristiani: è questo il messaggio che ha affidato ai Padri Bianchi e alle Suore Bianche, messaggio che ognuno di noi si sforza di vivere là dove il disegno di Dio lo chiama a vivere oggi. Da parte mia, sapendo che i musulmani sono sensibili ai valori del Vangelo e contestano l’autenticità dei nostri testi evangelici, ho sempre pensato che si tratta per noi cristiani di essere “un vangelo vivente”, un quinto vangelo, « una lettera di Cristo, come dice san Paolo, scritta non con l’inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivo, non su tavole di pietra, ma su tavole di carne, sui nostri cuori » (1Co. 3,3).

In primo luogo questo suppone che tramite il nostro essere e la nostra discrezione, noi possiamo rivelare loro il Padre e il Figlio tramite il mistero delle nostre vite nascoste in Dio e offerte a Lui come un’offerta unica e definitiva. Da questo poi ne nasce una conseguenza : lasciare indovinare da loro la nostra disponibilità totale nell’accoglienza e l’obbedienza senza limiti del Figlio che si è fatto prossimo e servo dei più umili. Infine si arriva alla conclusione di far loro intravvedere che la volontà di Dio consiste nell’edificazione del suo « Regno di giustizia e di pace » fra noi e gli chiediamo di aiutarci con il dono del suo Spirito. E’ attraverso questa visuale che il cristiano può allora, umilmente e con prudenza, agire sulle strutture e gli attitudini con un dialogo semplicemente culturale o esplicitamente religioso. Ed è ancora in questa visuale che si può accompagnare discretamente la ricerca personale dei musulmani che desiderano convertirsi ai valori del Regno de Dio, poi a Dio, Padre di questo Regno, poi a Gesù Cristo che ne è la presenza e la promessa, e infine alla Chiesa che ne è l’inizio e il sacramento.

Gli sviluppi storici del mondo musulmano nella sua triplice interpretazione, poiché c’è un “islam della Legge”, un “islam della Sapienza” e un “islam della Mistica” e l’onnipresenza delle istituzioni islamiche di oggi, arricchite dalla vendita del petrolio, costituiscono una sfida spirituale per i cristiani di oggi che « devono rendere conto della speranza che è in loro » (1P. 3.16).Senza dover elaborare una teologia dell’esperienza religiosa dei musulmani, costoro sono invitati a distinguere bene tra gli aspetti culturali, giuridici, economici e politici di un islam istituzionale e tra gli aspetti spirituali e devozionali di un “islam della sottomissione fiduciosa a Dio”. I testi del Concilio Vaticano II° possono illuminarli in questo campo. Ma rimane pur sempre una domanda: che ne è dell’islam nella Storia della Salvezza? L’islam ha permesso a milioni di uomini e donne di aver accesso al mistero della trascendenza del Dio vivente servendolo con la preghiera, l’elemosina, il digiuno, appagando i desideri della loro coscienza naturalmente religiosa. L’islam ha anche proibito di entrare in questo stesso mistero rifiutando loro ogni comunicazione e comunione tra il Creatore e la sua creatura e negando a Gesù Cristo il suo ruolo di mediatore e di redentore. Il grande islamologo cattolico, Louis Massignon parlava di « una religione naturale ravvivata da una rivelazione profetica » in termini abbastanza ambigui. Infatti, come lo dicono i teologi musulmani, si tratta sicuramente di una « religione di natura conforme alla ragione » che usa una grande parte del patrimonio biblico, reinterpretandolo a suo modo; da qui nasce la sensazione che provano i cristiani : essi trovano i musulmani molto vicini a loro, ma anche molto lontani.

Per questo, nei miei scritti, invito cristiani e musulmani, alle « collaborazioni umane necessarie ». Anche se le rispettive scritture e visioni teologiche sono differenti e a volte opposte, cristiani e musulmani sanno che devono partecipare, insieme a tutti gli uomini di buona volontà, « al compimento del mondo » per la gloria di Dio. Questo si avvera mettendosi in atto al servizio di tutti gli uomini, beneficiari di una stessa dignità, ancor più rispettabili quando sono deboli, senza difese e umiliati. Già da 40 anni gli incontri per il dialogo hanno messo in luce che la strada per « costruire la città degli uomini » esige da tutti la promozione della dignità del matrimonio e della famiglia, lo sviluppo delle arti e della cultura nel rispetto delle identità specifiche, l’equilibrio economico e sociale in nome del bene comune, l’armonia delle comunità politiche in nome di un ordine internazionale che garantisca la pace e la giustizia nel rispetto integrale di tutte le libertà. Ciò facendo, i credenti sanno benissimo che imitano, ognuno a suo modo, i “bei nomi di Dio” veri modelli e vere sfide per la loro vita.

Ma questi stessi credenti non dovrebbero accontentarsi di un simile servizio dei loro fratelli in umanità. Musulmani e cristiani vivono anche, ognuno a suo modo, un’esperienza spirituale singolare. Per questo devono interrogarsi sulle « loro convergenze religiose possibili », in nome di una « spiritualità aperta ». I miei libri e articoli hanno voluto sempre ricordare questo. Hanno molte cose da dirsi sul « mistero di Dio » : senza contrapporre il Dio Onnipotente degli uni al Dio Amore degli altri, sanno che uno « scambio degli attributi divini » è possibile. Il « dono della Parola », il « ruolo dei Profeti », la « presenza della Comunità », sono per loro mezzi importanti e essenziali per realizzare « un culto in spirito e verità ». Quanto ai « segreti della preghiera » appartengono agli uni e agli altri e trovano nei Salmi la più bella espressione prolungata nei libri devozionali degli uni e degli altri secondo le molteplici e diverse spiritualità. Queste spiritualità, inoltre, considerano i mistici e i santi testimoni privilegiati e modelli esigenti per accedere alla pienezza dell’ « uomo perfetto » o del « giusto tra i giusti ». Sulla strada di un dialogo spirituale tra cristiani e musulmani, i punti di orientamento non mancano e facilitano per di più una gara di « emulazione nelle opere di bene », raccomandata dalle due religioni.

Ho sempre coltivato le mie amicizie con numerosi musulmani e ho scritto i miei articoli indirizzati ai miei fratelli cristiani tenendo sempre presente ciò che facilita questo duplice dialogo, umano e spirituale. E’ evidente che gli uni e gli altri sono presenti nella mia preghiera quotidiana e soprattutto all’Eucaristia quando Gesù riunisce tutti come suoi « fratelli in umanità ». Seguendo l’esempio di Louis Massignon, cerco di accogliere gli uni e gli altri come ospiti riprendendo la « triplice preghiera di Abramo » soprattutto quando recito la triplice preghiera dell’Angelus della mia tradizione cattolica; il grande mistero dell’Incarnazione del Verbo diventa così per me una meditazione prolungata come un’ardente supplica di intercessione in favore di Sodoma e Gomorra e dei suoi abitanti all’Angelus del mattino, in favore d’Ismaele e dei musulmani, all’Angelus di mezzogiorno, e in favore di Isacco e degli ebrei, all’Angelus della sera. Louis Massignon diceva che recitava questi tre Angelus « in un clima di intercessione nella quale, senza stancarci, noi chiediamo a Dio la riconciliazione con queste anime care per le quali noi ci sostituiamo, (in arabo “fi l badalia”) pagando il riscatto al loro posto e a nostre spese ». Senza arrivare fino là, non si può escludere che un aumento di preghiera, di digiuno e di elemosina dalla parte dei cristiani, non ottenga infine che « un grande numero appartenga all’anima alla Chiesa, e possa vivere e morire in grazia di Dio ».

Dalla mia esperienza, ho imparato da Giovanni-Mohamed Abd-el-Jalil, da Paolo Mehmet Mulla-Zadé e da ‘Afîf ‘Usayrân che il loro atto di fede in Gesù Cristo che li fece diventare “figli del Padre in verità”, non era che il superamento e il compimento di quanto « l’islam della loro infanzia » aveva dato loro . Considerando dunque che il Corano dei musulmani costituisce per loro un viatico spirituale nella loro esperienza religiosa, non posso fare a meno di augurare loro di essere capaci di attingervi il meglio di ciò che li avvicina a questo Gesù, figlio di Maria, di cui essi sanno che non è senza relazione con la « Parola di Dio » e che lui, come l’ha affermato, è capace di offrire « una tavola imbandita ché sia una festa per tutti » (Corano 5, 114). Il mio triplice Angelus quotidiano integra pure ciò che il Corano ci dice di Maria, « prescelta, purificata, prescelta tra tutte le donne dell’universo » (Corano 3, 42), alla quale « la buona novella è stata annunciata di una Parola uscita da Dio che porta il nome di Messia, Gesù, figlio di Maria » (Corano3, 45). Presenza misteriosa della madre vergine e del suo figlio, profeta eccezionale, autore di miracoli incomparabili, che augura «a se stesso la pace nel giorno della sua nascita, della sua morte e della sua risurrezione » (Corano 19,33). Come non vedere in tutto questo una certa « preparazione evangelica » che solo lo Spirito è capace di portare alla pienezza? Questa è la domanda che mi persegue e si impone a tante mie sorelle e tanti miei fratelli in Gesù Cristo.