È di oggi l’articolo di Claudio Monici sul quotidiano Avvenire sullo scandalo di ciò che sta avvenendo in Libia. https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/occhi-chiusi-sui-migranti-in-libia-il-vero-scandalo  Malgrado l’evidenza di molteplici “pistole fumanti” segnalate più volte e la pubblicazione dei nomi dei “pistoleros”, poco, troppo poco, è stato fatto. Padre Pino Locati, completando la serie di articoli sul lungo e pericoloso viaggio compiuto dai migranti subsahariani per raggiungere le coste libiche, offre un visione d’insieme su questa situazione scandalosa

Libia, l’inferno dei migranti

di Pino Locati

Proseguendo il viaggio da Dirkou e venendo dal Niger, dopo aver superato il fortino di Madama, si prosegue la strada verso Sebha in Libia (Dirkou – Sebha, 1.141 km) che richiede alcuni giorni di percorso prima di essere raggiunta. Si attraversa la frontiera, si continua per Tajarthi e Taraghin (oasi nel deserto) e infine si giunge a Sebha da dove poi si riprenderà il viaggio verso Tripoli e la costa libica, a meno di essere incappati in bande di miliziani e guardie libiche. Le soste per dormire e mangiare da Dirkou a Sebha non sono frequenti. A Sebha (100.000 abitanti) sono disponibili delle case di transito. Questa è un’importante città della Libia centro-meridionale, capoluogo dell’omonimo distretto. Era la capitale della storica regione del Fezzan dove è nato Gheddafi. Data la sua posizione al centro del deserto libico, Sebha è stata fino al secolo scorso un importante centro di sosta e smistamento delle carovane che attraversavano il Sahara. Dagli anni Novanta è invece punto di transito per decine di migliaia di migranti sub-sahariani dell’Africa occidentale che attraversano clandestinamente il deserto del Sahara. Nel deserto sahariano dal Niger alla Libia non ci sono autostrade asfaltate, autogrill, alberghi: solo sabbia, polvere negli occhi, caldo rovente, arsura e fame. Questo è ciò che i migranti sub-sahariani devono affrontare pur di fuggire dalla miseria. Le ragazze, arrivate in Libia, cominciano a rendersi conto dei motivi per i quali sono state richieste.

Un paese nel caos

La Libia oggi è solo un paese apparentemente stabile. Il governo sostenuto dalle Nazioni Unite guidato da Fayez al-Serraj non regge l’urto del caos nazionale e di conseguenza non esistono istituzioni credibili, a livello nazionale come a livello locale, con cui dialogare. Unione Europea e Italia inondano la Libia di fondi per la cooperazione internazionale coprendo il vuoto politico e diplomatico che c’è nel paese, nella speranza che i soldi accelerino la fine della crisi ma il piano di cooperazione Italia-Libia procede con difficoltà e l’effetto potrebbe essere l’esatto contrario. La possibilità di indire elezioni a Tripoli passa da Khalifa Haftar, il generale ribelle che governa Bengasi a est della Libia, e dall’esecutivo appoggiato dalle Nazioni Unite guidato da Fayez al-Serraj che sono i due governi reali del paese. Se in Cirenaica, la Libia orientale, comanda Haftar, in Tripolitania, a ovest non ci sono padroni. Qui gli aiuti economici hanno accentuato situazioni di crisi e innescato conflitti a non finire. La caduta di Gheddafi ha aperto un vuoto di potere  incolmabile. L’effetto di richiamo che ha spinto negli ultimi due anni quasi 400 mila persone a prendere un barcone per raggiungere l’Italia è proprio l’anarchia che regna in Libia.

A Tripoli non è possibile siglare un accordo fra lo Stato e l’Unione europea sul modello di quello che Bruxelles ha firmato con la Turchia per chiudere la rotta balcanica. A Tripoli lo Stato non esiste. Però l’Europa in Libia ha già messo oltre 300 milioni di euro. Eunavfor Med, nota come Operazione Sophia, è la missione militare che l’Alto commissario agli Affari esteri della Commissione europea Federica Mogherini ha lanciato per fermare i trafficanti di esseri umani che dalla Libia portano i migranti sulle coste italiane. Nata nel 2015, la missione è stata prorogata fino alla fine del 2018. In questi tre anni, però, non è riuscita a interrompere la filiera che alimenta la tratta.

In Libia si continua a morire: soprattutto nei centri di detenzione e nel deserto. La Libia non riconosce la Convenzione di Ginevra del 1951 e quindi ogni migrante che entra in Libia è considerato un clandestino e messo in un centro di detenzione o in prigione, secondo il denaro che può pagare per uscirne. Chi ne approfitta davvero sono i padroni dei traffici della Libia.  Alcuni Centri di detenzione in libia: Gharyan, Sabratha, Zwara, Khoms, Garabulli, Tarek al Sika, Tarek al Matar e Tajoura, a Tripoli. Non tutte le ONG presenti in Libia partecipano ai bandi di concorso proposti dall’Italia per visitare e aiutare questi centri. I fondi italiani e europei concessi alla Libia sono molto criticati perché privilegiano progetti incentrati sulla sicurezza o sulla repressione, piuttosto che sullo sviluppo. A beneficiare del denaro europeo è soprattutto la Guardia costiera libica, la stessa che non è in grado di gestire la zona Sar (sorveglianza del mare) e che Amnesty International accusa di collusione con i trafficanti di uomini.

Vedi anche l’articolo pubblicato dal giornale Avvenire il 20 marzo scorso: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/torture-e-stupri-in-libia-lultima-accusa-dellonu

I signori del traffico di esseri umani

L’Italia sta investendo centinaia di milioni di euro senza riuscire nemmeno a scalfire la “cupola” dei trafficanti.  Colpire questa rete solo in mare è inutile, visto che parte dal Sud della Libia, il vero centro nevralgico del traffico. Da quelli che erano semplici gruppi isolati, ora le “cellule a conduzione familiare” del traffico di esseri umani si sono organizzate in assetti e strutture gerarchiche come le organizzazioni criminali. Ecco qualche nome:

  1. Esmail Aburazak, eritreo, è il trafficante più longevo. Da più di un decennio ha una rete di collaboratori tra Libia e Sudan. Ha agganci in tutto l’apparato di sicurezza libico. È “il re” dei trafficanti.
  2. Sabratha, città famosa come porto di partenza di molti migranti e a 74 km a ovest di Tripoli, è gestita dal clan dei Dabbashi che hanno ricevuto denaro dall’Italia per fermare i flussi migratori. Un altro pezzo grosso del traffico di esseri umani è Ahmed al Dabbashi. Sabratha è cosa sua. Secondo il Consiglio di sicurezza dell’Onu, fino al 2016 la sua brigata ha combattuto a fianco dell’Isis, ma ora è rivale dello Stato Islamico. In questa fase di anarchia, la famiglia Dabbashi è tra le più in vista del paese.
  3. Altro personaggio del gotha dei trafficanti è Mussab Abu Ghrein. Si tratta di un ricco uomo d’affari libico che si è dato al traffico di esseri umani, in particolare di chi viene dal Sudan, mentre la rotta dal Niger è appannaggio del suo “collega” al Dabbashi. Tutti questi personaggi sono liberi di lasciare il paese per viaggiare soprattutto nei paesi del Golfo (in particolare Dubai), dove depositano il loro denaro.
  4. Il capo della Guardia Costiera di Zawyia è Abd al-Rahman Milad, un trafficante di uomini. Altri Corpi di guardia costiera si trovano a Sabratha e Tripoli. Nessuna ha una “giurisdizione nazionale” e soprattutto ognuna di queste è legata a una preesistente milizia. È ufficialmente riconosciuto come capo della Guardia costiera cittadina, e per questo “degno” della formazione Ue. Eppure, lo stesso Consiglio di Sicurezza dell’Onu lo indica come trafficante di esseri umani.