Costretto a fuggire dal suo Paese, l’Eritrea, dove un regime oppressivo rende impossibile una vita serena, Koudous è arrivato in Svizzera dove «Point d’ancrage», un’associazione dei Padri Bianchi, l’ha aiutato a ricostruirsi una vita

Si chiama «Point d’ancrage» («Punto di ancoraggio»). È un’associazione creata a Friburgo dai Padri Bianchi della Svizzera. Obiettivo: offrire assistenza e accoglienza alle persone richiedenti asilo. Oltre alle interviste necessarie per la domanda di asilo, i Padri offrono corsi in lingua francese, aiuto per i bambini e visite a domicilio. I casi che si presentano ai Padri Bianchi e ai loro collaboratori sono quasi sempre tragici. Come quello di Koudous (ndr: nome fittizio).

Per lui, eritreo, la fuga dal suo Paese era l’unica strada percorribile. In Eritrea la vita era diventata impossibile, una strada tutta in salita. Arruolato a 16 anni nell’esercito di Isaias Afewerki, a 21 anni, mentre è di pattuglia, salta su una mina. Gli viene amputata una gamba. Ma non si arrende. Grazie a una protesi riprende a camminare e, tornato a casa, inizia a coltivare la terra della sua famiglia. Di lavoro ce n’è, ma decide anche di impegnarsi in un’associazione di mutilati di guerra. Un’altra tegola però si abbatte sulla sua testa.

Lo Stato, una feroce dittatura, decide che, pur essendo mutilato, non ha alcun diritto speciale. Così decide di espropriargli i terreni. Koudous presenta una protesta ufficiale, ma questa non viene esaminata. Quando la polizia viene a requisire il suo terreno perde le staffe e scoppia una lite con gli agenti. Fa appena in tempo a fuggire prima che lo arrestino. Scappa in Sudan, poi in Libia, in Italia e, infine, raggiunge la Svizzera. Ma anche qui non c’è pace. Pur avendo un permesso di soggiorno per motivi umanitari, con il suo handicap non riesce a trovare lavoro.

La seconda vita di KoudousA Friburgo, però, si imbatte nei Padri Bianchi. Grazie all’associazione «Point d’ancrage», Koudous presenta numerose domande a organizzazioni e istituzioni nazionali e internazionali. La trafila è lunga, ma alla fine viene riconosciuto vittima della tortura e della guerra dal Centre de consultation pour victimes de torture et guerre dell’Ospedale universitario di Ginevra. Un riconoscimento che gli vale il diritto d’asilo. Ora gli rimane un’unica speranza: quella di poter riabbracciare la moglie e gli otto figli.

Claude Maillard